10/09/2021

Il dipinto seicentesco “Il Conte Ugolino” dipinto a Arsenio Mascagni entra nella collezione della Galleria degli Uffizi

Si tratta di una donazione statunitense, fatta dai “Friends of the Uffizi Gallery”

Il Conte Ugolino, Donato Mascagni

Un’acquisizione di un’opera a tema dantesco prestigiosa e rara, che va ad arricchire la collezione della Galleria degli Uffizi: si tratta della tela raffigurante ‘Il Conte Ugolino’, realizzata dal pittore fiorentino del primo Seicento Fra’ Arsenio, al secolo Donato Mascagni. Un’opera prezione, che è stata donata al Museo dai “Friends of the Uffizi Gallery”, il ramo americano degli Amici degli Uffizi. 

Un’opera imponente, di grandi dimensioni e di notevole impatto, che verrà presto esposta, in via temporanea, nella sala della Niobe al secondo piano della Galleria delle Statue e delle Pitture, dove rimarrà fino alla fine dell’anno dantesco.

Una testimonianza precoce della fortuna della Divina Commedia nella cultura figurativa monumentale”, ha commentato il direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt.

La storia del dipinto

Il dipinto si lega a uno degli episodi più celebri della Divina Commedia, descritto nel XXXIII canto dell’Inferno. Ne è protagonista il conte Ugolino Della Gherardesca, colpevole di tradimento della patria: un peccato infamante nella visione di Dante, che per questo lo precipita nel nono cerchio, il più profondo e vicino a Lucifero. Nella realtà storica il nobile pisano venne rinchiuso insieme a due figli e due nipoti nella Torre Muda a Pisa, e lì condannato a morire di fame. Il Poeta narra la vicenda concludendola con il celebre verso “Poscia, più che ‘l dolor, poté ‘l digiuno”, ricordando come Ugolino per disperazione si fosse cibato della carne dei congiunti: una parte della storia efferata e cruenta che l’artista ha evitato, preferendo il momento non meno drammatico (ma molto meno truce) delle ultime fasi della loro lenta agonia. 

Nel dipinto viene rappresentata la scena che precede il tragico epilogo, quella corrispondente alla terzina “come un poco di raggio si fu messo/nel doloroso carcere, e io scorsi/per quattro visi il mio aspetto stesso”. Nella resa visiva dei versi danteschi, Fra’ Arsenio raggiunge l’apice del dramma: in primo piano una luce livida rivela due corpi già privi di vita, mentre sullo sfondo si accascia un giovane, consumato dalla fame. Sulla destra un nudo tremante in piedi, prossimo alla morte; Ugolino al centro, raffigurato da tergo, assiste impotente alla fine dei suoi cari prima di morire lui stesso. I corpi si stagliano su uno sfondo scuro, illuminati da un fascio di luce cruda che evidenzia le anatomie, rese nella loro miseria fisica con inesorabile esattezza anatomica. La spigolosità di alcuni profili rivela l’attenzione alla verità e la vocazione naturalistica di Fra’ Arsenio, che a Firenze aveva probabilmente assimilato questi caratteri stilistici da Jacopo Ligozzi e dai cicli di affreschi di Bernardino Poccetti.

Il valore dell’opera è dato anche dalla rarità del soggetto per l’epoca. Dal Medioevo infatti si conosce un numero cospicuo di illustrazioni della Divina Commedia su carta (gli Uffizi possiedono la splendida serie ad essa dedicata con 88 fogli disegnati da Federico Zuccari negli anni Ottanta del Cinquecento), mentre fino all’Ottocento le rappresentazioni in pittura o scultura di episodi danteschi costituiscono una vera e propria rarità.